Vi siete mai domandati come si fa a non far sanguinare un paziente durante un’intervento chirurgico?
I metodi sono molti. In parte si sfruttano le normali capacità del sangue di coagulare, come tutti hanno osservato in una banale ferita. Questa naturale tendenza alla coagulazione viene poi accentuata dalla compressione che esercita il chirurgo con garze sui tessuti, soprattutto se immerse in soluzione fisiologica calda.
Quando il vaso sanguigno è più grande, specialmente se si tratta di un’arteriola, questo verrà afferrato con delle pinze metalliche che condurranno una scarica elettrica; quest’ultima, riscaldando fino alla carbonizzazione il tessuto, provocherà l’arresto del sanguinamento.
Nel caso di vasi più grandi questi saranno chiusi con una legatura, che può essere effettuata con lacci di vari materiali, per lo più riassorbibili, o con piccole clip metalliche di titanio.
L’energia elettrica applicata ai vasi sanguinanti libera calore che potrebbe danneggiare i tessuti vicini, ad esempio il cervello o vicino all’intestino; per evitare questa diffusione di calore si utilizza, allora, la corrente bipolare. Si tratta di speciali pinze, o forbici, in cui passa energia elettrica con polarità opposta. In questo modo la corrente elettrica passerà solo nel tessuto afferrato dallo strumento e non si diffonderà a quelli circostanti.
Anche gli ultrasuoni sono impiegati in chirurgia, presentando alcuni vantaggi: provocano una vibrazione che riscalda il tessuto con cui vengono a contatto, coagulando le proteine, ottenendo un taglio netto ed una contemporanea chiusura dei vasi sanguigni. I dissettori ad ultrasuoni sono ideali in chirurgia laparoscopica, sia per la loro efficacia e sicurezza, che per il fatto di non fare fumo come gli altri dispositivi.
Molto impiegata in laparoscopia è anche la radiofrequenza, perché permette di ottenere un’emostasi sicura anche di vasi di discreta grandezza, fino a 7.5 mm di diametro. A differenza degli ultrasuoni i dispositivi a radiofrequenza non tagliano contemporaneamente i tessuti.